giovedì 7 settembre 2017

La guerra vista attraverso gli occhi dei soldati.


Due film di guerra uno realizzato e prodotto da quel vecchio volpone di Nolan e l’altra dall’esordiente Sepe, tutti e due spettacolari, tutti e due dedicati all’introspezione psicologica dei personaggi, dei soldati che lottano non solo per la loro sopravvivenza ma che si interrogano sul futuro e sulla nazione. L’ansia da prestazione prende il sopravvento, l’obiettivo non è l’uccisione del nemico, ma la sopravvivenza. Nolan lo rende benissimo in Dunkirk, gli occhi stralunati dei protagonisti sono li a rendere merito di questa ricerca spasmodica di un appiglio che li renda consapevoli del loro ruolo. Il giudizio della gente, cosa penseranno di noi, si stempera proprio nell’accoglienza finale di un popolo che coglie il momento di difficoltà “siamo sopravvissuti” dice il soldato e “vi pare poco” risponde l’anziano che li accoglie. Più scuro e con molte connotazioni su responsabilità della guerra combattuta invece nel lungometraggio di Sepe. Una guerra persa, combattuta dalla parte sbagliata che però, pur nella tragedia del combattimento fa emergere un lato di umanità anche in chi faceva parte di squadroni votati alla morte. La guerra vista con gli occhi del soldato non è gloria, è soltanto carneficina da cui allontanarsi il più velocemente possibile. We shall never surrender (non ci arrenderemo mai) più che al nemico è dedicato alla vita

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