Zapata era un rivoluzionario
messicano che portò allegria e coraggio a un popolo che credeva nella
rivoluzione, una sorta di affrancatura, sembra, a voler vedere a un periodo
buio in cui era sprofondato il Messico. Il popolo, era un uomo di popolo,
amatissimo. Lo ammetto, ho un difetto,
mi piace la storia e mi piace vedere un certo parallelismo con eventi e
personaggi passati. E da estimatore di tutte le cose calcistiche del Milan, non
posso pensare che in una squadra operaia che sta cercando di rivoluzionare il
proprio modo di essere, Zapata non possa che essere accostato a Emiliano il rivoluzionario
messicano, proprio per la sua rete realizzata nel derby. Pur tra alti e bassi è
stata una stagione che può segnare il ritorno, se non nell’élite del calcio che
conta, sicuramente nei piani alti. Montella ha dato un gioco e una filosofia,
mai mollare. Piace constatare che nell’era di una Juve tutta Allegra, pronta
dominare il Vecchio continente, l’unica squadra che l’ha messa in difficoltà
sia stata la nostra. Quattro incroci tutti finiti all’ultimo. Nell’era di Via
Paolo Sarpi un buon motivo per sorridere e pazienza se la rete arriva all’ultimo
assalto, con grinta e cattiveria, quella mancata al Camp Nou a Messi e
compagni. Questa squadra può essere competitiva bastano due acquisti: una punta
centrale di razza e un centrocampista di qualità (Fabregas/Belotti o Diego
Costa o Ibra solo per fare alcuni esempi, ma senza certezze sui ruoli)
potrebbero dare quel tocco in più in grado di riportare la prima squadra di
Milano, pardon Pechino, laddove le compete. Io ci credo
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