giovedì 17 luglio 2025

Cavour e i dazi, l'attualità della storia


Di solito la storia non mente: gli esempi del passato, su temi oggi di estrema attualità, sono quanto mai utili per uscire dalle secche di un’economia irrigidita.

Pensare a un illuminato statista – e anche giornalista – come Camillo Benso di Cavour, significa ricordare come egli fondò la sua politica di costruzione dell’Italia sul libero scambio commerciale, opponendosi strenuamente ai dazi doganali. La sua posizione nasceva da una profonda adesione ai principi dell’economia liberale di stampo britannico, in particolare al pensiero di Adam Smith e dei suoi successori, secondo i quali il commercio libero avrebbe portato ricchezza, innovazione e progresso per tutti.

Secondo Cavour, i dazi – ovvero le tasse sulle merci importate – proteggevano artificialmente le industrie meno efficienti, rallentando il miglioramento tecnologico e mantenendo alti i prezzi per i consumatori. In un discorso al Parlamento sabaudo del 1847, affermò che i dazi rappresentavano una forma di “tassa nascosta” che finiva per danneggiare sia i produttori che i consumatori, in particolare le classi più povere, costrette a pagare di più beni essenziali come grano, tessuti e metalli.

Cavour riteneva inoltre che il libero commercio tra i popoli fosse un mezzo per favorire la pace e la cooperazione internazionale: più le nazioni sono economicamente interdipendenti, minori sono le probabilità che si scontrino in guerra.

La sua politica economica portò il Regno di Sardegna a firmare importanti trattati commerciali con Francia e Inghilterra, aprendo i mercati e rafforzando i legami diplomatici. La modernizzazione agricola e industriale del Piemonte negli anni Cinquanta dell’Ottocento fu, in gran parte, il frutto di queste scelte.

Cavour era consapevole che aprire il mercato avrebbe messo in difficoltà alcuni settori arretrati, ma riteneva ciò necessario per spingere l’economia verso l’innovazione. Rifiutava l’idea che lo Stato dovesse proteggere indefinitamente chi non riusciva a competere, preferendo invece creare le condizioni per favorire la crescita delle imprese più dinamiche.

In un’Italia ancora frammentata, la sua visione aveva anche una forte valenza politica: il libero scambio poteva diventare un collante economico tra le diverse regioni, superando barriere locali e creando una nazione unita non solo sul piano politico, ma anche economico.

Ecco perché, a distanza di oltre 170 anni, il pensiero di Cavour rappresenta ancora un esempio attuale e lungimirante, a cui guardare con estrema fiducia.



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