La riconoscenza si sa fa fatica
ad albergare nei cuori delle persone. Se
sei però un personaggio pubblico, meglio ancora uno sportivo che tanto ha avuto
sia in termini di visibilità che di risultati (ovviamente ben pagati
profumatamente) probabilmente dovresti soppesare bene parole e pensieri. Il
riferimento è tutto per Andrea Pirlo, per una decina di stagioni indimenticato
numero 21 in casa rossonera, campione del mondo con la casacca azzurra e poi
odiato (sportivamente si intende) metronomo del centrocampo della squadra di
Venaria. Da un paio di stagioni il suo buen ritiro è negli Stati Uniti, dove,
bontà sua, può uscire con le ciabatte ai piedi (Seedorf lo faceva anche ai
derby ahimè) cercando una tranquillità più esteriore che interiore. Mi hanno un
po’ stupito le sue affermazioni di tifo alla Supercoppa in cui ha detto, senza
mezzi termini, di aver fatto il suporter per una squadra piuttosto che per l’altra
del suo recente passato. Forse a volte occorrerebbe una migliore attenzione per
affermazioni e propositi, perché, se anche una società non ti ha trattato bene,
e può capitare, diverso e differente l’impatto che hai per chi ha tifato per te
quando indossavi colori che per i tifosi rappresentano vita e successo. Per chi
magari per venirti a vedere con quella maglia ha sfidato trasferte lunghe e
onerose, ha mangiato salamella in cartavetro e ha sfidato il gelo o il caldo di
spalti di cemento. A loro si dovrebbe un po’ di riconoscenza e al di là dell’esultanza
o meno quando segni una rete, pur bellissima, ricordarsi che loro in te hanno
visto sempre un amico e un fidato compagno a cui dare sensazioni speranze e
anche illusioni. Già illusioni di essere una bandiera.
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